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Letteratura e medicina: una guerra in comune

Letteratura e medicina: una guerra in comune

A cura di Valentina Maini
Malattia è una parola nomade. Dalla disciplina a cui più facilmente la accostiamo – la medicina –, essa si sposta, comparendo nella sua veste metaforica in scritti filosofici, psicoanalitici, politici e letterari, dove intercetta con grande efficacia l’idea di un ordine perturbato, di un equilibrio precario o di una corruzione sostanziale a cui porre tassativamente rimedio. In sintesi: malato è tutto ciò che modifica un ordine, rimescola le carte e minaccia la sopravvivenza di un insieme. È per questa sua essenza apparentemente negativa che la malattia – e tutto il campo semantico che intorno a essa si costruisce – si trova spesso associata a un altro evento traumatico e perturbatore che affligge la Storia e che va sotto il nome di guerra. Di questo scambio tra campo medico e bellico vorrei qui brevemente parlare, tirando in ballo una delle discipline che di questo parallelismo si è tanto spesso nutrita: la letteratura.

Che in medicina le immagini di guerra abbondino è molto facile da constatare. La medicina fa infatti ampio ricorso alla traslazione figurata e la presenza della guerra è rintracciabile a diversi livelli del discorso medico, che sia esso divulgativo o specialistico, o che invece provenga direttamente dai malati e dai loro tentativi di descrivere ciò che succede al proprio corpo, spesso immaginato come un campo di battaglia dove le forze del bene tentano di abbattere il maligno. Sia la descrizione della malattia che delle strategie di guarigione – come ben sottolinea Susan Sontag in uno dei percorsi più originali sul tema – si basano su espressioni belliche. L’autrice in questione arriva anche a stabilire una sorta di parallelismo tra l’incedere del cancro nel corpo umano e il fenomeno del colonialismo, sottolineandone la crescita anomala, che porta spesso all’amputazione della parte ormai conquistata dalle cellule malate. È proprio per il suo carattere colonialista – o, come direbbe il medico e saggista indiano Siddhartha Mukherjee, per la sua brama espansionista – che il cancro sembra particolarmente sensibile al lessico della guerra: visto come un essere mobile, desideroso di farsi spazio nel corpo, esso è l’immagine perfetta del conquistatore, dello straniero che minaccia le frontiere legittime del nostro corpo, minandone l’integrità e la sopravvivenza. Affermare, come il protagonista della fiction La linea verticale, che “Questo tumore mi ha salvato la vita, senza questo tumore sarei già morto”, immaginando la malattia come un’esperienza o un’occasione, ci appare tanto utopico quanto innaturale, privilegio di saggi e folli. 

La letteratura, da parte sua, cementifica questa inattesa reciprocità tra guerra e malattia. Se nella Repubblica di Platone la guerra civile era il sintomo della malattia della Grecia e la tirannide ne era l’estremo malanno, nel XX secolo gli scrittori sfruttano spesso, e in maniera più o meno fugace, il registro medico per raccontare il conflitto. Il romanzo La peste di Camus, e la sua critica al nazismo comparato a un contagio, è solo uno degli esempi più immediati di un processo che si ripete, con comprensibili varianti, in molte opere del Novecento. Nella Recherche, Proust utilizza spesso l’immaginario medico-chirurgico per descrivere la guerra che somiglierebbe a una malattia quasi invincibile o, al contrario, a un’operazione chirurgica. Il medico Louis-Ferdinand Céline non poteva esimersi dall’utilizzare questo accostamento nel suo capolavoro Viaggio al termine della notte dove gli ideali appaiono malati, la guerra, alla stregua di una febbre, non si decide a passare ed è associata esplicitamente alla malattia (“La guerra e la malattia, questi due infiniti dell’incubo”). Anche nel Doctor Faustus di Thomas Mann, come sottolinea Franco Lella, “il patto simbolico con la malattia […] appare come l’unico modo per rappresentare l’orrore della violenza e della morte collettiva della seconda guerra mondiale». Umberto Saba in Scorciatoie e raccontini compara le epoche storiche alle malattie organiche: in questo modo, il XX secolo appare caratterizzato da cancro e fascismo, due mali a suo dire molto simili che colpirebbero rispettivamente il corpo dell’uomo e della società italiana. Molti altri sarebbero gli esempi da citare. Concludiamo ricordando l’affermazione di Antoine de Saint-Exupéry a proposito della guerra civile spagnola (“la guerra civile non è una guerra, è una malattia”): una guerra, questa, la cui narrazione sembra fare spesso ricorso a metafore di malanni e contagi, particolarmente efficaci a mettere in scena il dramma di un conflitto intestino.

Ragionare, anche per mezzo di questi esempi letterari, sull’esistenza e le controindicazioni insite all’uso di questo genere di immaginario – che spezza l’uomo in due parti contrapposte, Bene e Male, forzate a combattere l’una contro l’altra – potrebbe essere uno degli strumenti a disposizione della medicina narrativa per aiutare medici e pazienti a ideare scenari alternativi, non necessariamente consolatori, ma personali, integrati alla storia del paziente e alla sua unicità.



BIBLIOGRAFIA

CAMUS, Albert, La peste, Milano, Bompiani, 1948.
CÉLINE, Louis-Ferdinand, Viaggio al termine della notte, Milano, Dall’Oglio, 1966.
MANN, Thomas, Doctor Faustus, Milano, Mondadori, 1970.
MUKHERJEE, Siddhartha, The Emperor of All Maladies: A Biography of Cancer, United States, Scribner, 2010. 
PROUST, Marcel, Alla ricerca del tempo perduto, Milano, Mondadori, 1995.
Platone, La Repubblica, Roma, Laterza, 1999.
RELLA, Franco, Miti e figure del moderno, Milano, Feltrinelli, 2003.
SABA, Umberto, Scorciatoie e raccontini, in Id., Poesie e prose scelte, vol. II, Milano, Mondadori, 1976,
SAINT-EXUPÉRY, Antoine de, Un sens à la vie. Textes inédits, Paris, Gallimard, 1956.
SONTAG, Susan, Malattia come metafora, Torino, Einaudi, 1979.


Valentina Maini è nata a Bologna nel giugno del 1987. Sta per terminare un dottorato in Lingue e letterature straniere sul tema della guerra civile spagnola e delle sue trasfigurazioni letterarie. Appassionata di antropologia, religioni e civiltà orientali, ha approfondito il suo interesse per l'antropologia medica, sviluppando un percorso critico originale sospeso tra medicina, guerra e letteratura. Ha pubblicato diversi racconti su riviste indipendenti, ha vinto il Premio Letterario Anna Osti per la raccolta di poesie "Casa rotta" ed è rappresentata dall'agenzia letteraria Oblique di Roma. Vive tra Bologna e Parigi.

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