Gli autori hanno messo a punto un framework di interpretazione delle narrazioni online, sviluppato su modello del Close Reading di Rita Charon, e l’hanno applicato a 214 narrazioni autobiografiche sul melanoma, raccolte online.
PUNTI CHIAVE
Il Close Reading è un metodo elaborato da Rita Charon per sviluppare la competenza narrativa, basato sulla lettura attenta della struttura, del contenuto e delle dinamiche intersoggettive di un testo;
Nello studio di Narrative Inquiry citato (Lamprell et al. 2019), il close reading viene adattato come framework di ricerca qualitativa;
La Narrative Inquiry può essere intesa come analisi delle narrazioni (le narrazioni sono l'oggetto della ricerca, utilizza strumenti di analisi olistica o categoriale, tematica o strutturale che possono far riferimento anche ad altri approcci come la Grounded Theory) o come analisi narrativa (si applica un approccio narrativo al processo di ricerca e di scrittura della ricerca, le narrazioni sono oggetto e metodo, si valorizza la dimensione soggettiva e inter-soggettiva);
Le narrazioni autobiografiche di malattia online sono una risorsa utile per sviluppare la competenza narrativa, attraverso il Close Reading, ma richiedono particolari riflessioni e approfondimenti sulle specificità del contesto digitale.
Che cos’è il Close Reading
Definito “the signature method of narrative medicine” il Close Reading prende spunto da diverse discipline – la critica letteraria, la fenomenologia, la narratologia, l’antropologia, ecc – per fornire al curante uno strumento capace di fortificare la competenza narrativa, in particolare la capacità di ascoltare con attenzione.
Lo scopo del close reading è di farsi coinvolgere profondamente con le persone e le loro storie, comprendendo come “il significato di un testo è veicolato nella relazione dinamica tra ciò di cui si racconta e come è costruita la narrazione” (Charon, 2006).
Il close reading:
•È il punto di partenza per imparare ad ascoltare con attenzione.
•Migliora la consapevolezza di sé, delle proprie emozioni e dei meccanismi di costruzione dei significati
•Favorisce l’empatia e l’esplorazione dei punti di vista diversi
•Educa a uno sguardo critico e non ingenuo alle storie
•Insegna a stare nell’incertezza e nell’ambiguità del testo
•È un metodo inclusivo e partecipativo
•È un processo relazionale, in cui si mettono in pratica dinamiche comunicative e di co-costruzione di gruppo;
Gli autori dello studio spostano il Close Reading dal classico setting pedagogico, a quello della ricerca qualitativa. Un passaggio che forse può risultare arbitrario, ma che, a mio avviso, testimonia quanto possono essere sfumati i confini tra le pratiche narrative (in questo caso la Narrative Inquiry e il Close Reading), senza essere in contraddizione tra loro in quanto condividono una medesima “postura”.
Gli obiettivi dello studio e il framework proposto
Lo studio non ha l’obiettivo principale di comprendere l’esperienza delle persone con melanoma (anche se di fatto, l’esperienza dei ricercatori li porterà ad acquisire questa comprensione), ma quello di descrivere come funziona la competenza narrativa nel close reading delle storie online, secondo lo specifico framework proposto.
“Our goal was to profile narrative competence through engagement with both form and content of online narratives of people with melanoma”.
Attraverso la comprensione del come viene raccontata la storia, si accede al cosa, al significato dell’esperienza che l’autore vuole veicolare. L’attenzione è quindi rivolta sia ai temi trattati, sia alla struttura della narrazione, ma anche alla dimensione intersoggettiva che caratterizza la narrazione.
Il framework propone 5 caratteristiche della narrazione come “prompt interpretativi”:
•tempo: la rappresentazione del passato, presente e futuro;
•spazio: il posizionamento e il movimento di personaggi ed eventi all'interno di regni fisici e geografici;
•voce: le personalità e i punti di vista che vengono comunicati mentre i narratori parlano al pubblico e i personaggi parlano tra loro;
•metafore: il linguaggio metaforico usato per descrivere un sentimento, una situazione o un evento;
•genere: il tipo di testo determinato dai codici e dalle convenzioni comuni della costruzione narrativa.
Sono state selezionate storie con le seguenti caratteristiche: narrazioni di esperienze personali con il melanoma, autobiografiche, non -fiction, scritte in inglese, pubblicate su internet, nel formato di storia breve (non blog, non racconto interattivo), creato autonomamente.
Pensare con le storie
To think about a story is to reduce it to content and then analyze the content … to think with a story is to experience it affecting one’s own life and to find in that effect a certain truth of one’s own life.” (Frank, 1995)
Ci sono alcune caratteristiche dello studio che vale la pena notare, per comprendere che cosa si intende per Narrative Inquiry.
Partiamo per esempio da una constatazione: i risultati sono presentati in forma di discussione, non di conclusione.
Gli autori dichiarano infatti di rifarsi a un approccio interpretativo, in cui il punto di vista è interno, non distaccato dalla narrazione. Al contrario, il lettore-ricercatore è considerato indispensabile per il processo di co-costruzione di significato che costituisce la ricerca. La ricerca è un incontro esperienziale con le storie che dà luogo a un’intensa attività di riflessione sulla relazione con le narrazioni.
Polkinghorne (1995) distingue due tipi di Narrative Inquiry, che corrispondono alla distinzione di Bruner tra pensiero paradigmatico e pensiero narrativo:
-Analisi delle narrazioni (Analysis of narratives): le narrazioni sono trattate come dati e analizzate per individuare temi trasversali o tipologie di storie e di plot;
-Analisi narrativa (Narrative Analysis): analizzano le storie narrativamente, il prodotto della ricerca è una storia scritta dal ricercatore per rappresentare che cosa fa la storia, gli effetti dell’incontro con la storia.
Quello scelto dagli autori dello studio, non è l’unico modo di intendere la Ricerca Narrativa, quindi, ma forse più che di una distinzione vera e propria potremmo parlare di un continuum tra le due posizioni. Un’analisi delle narrazioni che si concentra sugli aspetti performativi e intersoggettivi, e non solo su quelli tematici e strutturali, si avvicina molto ad un’analisi narrativa.
In entrambi i casi c’è una coerenza di fondo con l’imperativo etico di Rita Charon di “onorare le storie” e di lasciarsi coinvolgere da esse.
Conviene forse, non fissarci troppo sulle classificazioni ma provare a vedere quale può essere il risultato di questa postura.
Un esempio di insight che emerge in questo tipo di processo interpretativo è quello relativo al tempo: gli autori constatano che oltre alla presenza di diverse modalità di espressione del tempo (“chronological time as a platform for the unfolding of experiences; the passing of time as a gauge by which storytellers assessed the impact of their experiences; and historic time as a view of the shifting issues individuals have dealt with”) c’è una dimensione da esplicitare che riguarda la relazione:
“Time also featured as an implicit aspect of the relationship we developed with each storyteller — the time we spent reading and re-reading a pathography and then the time spent thinking about that storyteller long after our study was competed. Our reading of these pathographies visited storytellers at a particular time in their lives, and we were keenly aware that the circumstances of their health and their lives overall may have shifted significantly since the time of writing. A question lingers: what happened to that person?”
O ancora, quando gli autori si concentrano sul punto di vista utilizzato nelle storie, ne trovano solo una in terza persona. Ciò apre una riflessione sull’impatto che questa scelta dell’autore ha avuto sui lettori e sulle possibili motivazioni di questa scelta per l’autore:
“Why had this person decided on the use of the third person in the telling of her lived experience? We wondered if the intention was to distance herself from the experience, to engage our attention by being different, or perhaps to bring her experience into a literary domain.”
Infine, possiamo notare che la pubblicazione ha essa stessa una struttura narrativa, pur nei limiti del “genere letterario” dell’articolo scientifico. Lo possiamo constatare, per esempio, quando gli autori raccontano di come abbiano deciso, nel corso dell’analisi, di modificare il metodo passando da una modalità di codifica tematica a un approccio olistico. Quello che viene raccontato è il processo di ricerca, con il costante confronto dei punti di vista, con i ripensamenti in un movimento a spirale e senza il tentativo di raggiungere conclusioni oggettive, universali e definitive, ma descrivendo una dinamica intersoggettiva.
Perché le narrazioni di malattia online?
Perché sono sempre di più, perché sono ovunque e perché si stanno affermando come un vero e proprio genere di espressione narrativa. Mi pace citare le metafore utilizzate nella descrizione dell’antropologa Cristina Cenci, secondo cui internet “mette il soggetto al centro di un crocevia narrativo che egli stesso contribuisce ad alimentare, in uno scambio di storie che per dimensioni e caratteristiche potremmo considerare un’epidemia narrativa.”
Internet si è strutturato come un luogo di scambio e condivisione di storie, una nuova piazza in cui le persone si incontrano, si raggruppano per affinità e raccontano di sé. Emerge il bisogno di attenzione e di cura da parte di una comunità, il bisogno di dare forma all’esperienza e anche il bisogno di comunicare. Emergono anche tanti interrogativi sugli elementi di novità (ma anche di continuità con i media precedenti). Un interessante campo da esplorare, insomma.
I nostri autori sottolineano soprattutto come internet possa essere una risorsa per esercitare la propria competenza narrativa:
“We propose that Internet pathographies may be a relevant resource for medical providers seeking to develop narrative competence.”
Dalla ricerca emergono anche aspetti che, almeno per quanto mi riguarda, fanno nascere curiosità. Per esempio nel processo di selezione sono state scartate numerose storie perché scritte a scopo di marketing. Una mia prima riflessione abbozzata: la testimonianza – come dono gratuito o come gesto di engagement, perfino di attivismo sociale - si trasforma nel testimonial, o magari nell’influencer, figure di un nuovo immaginario digitale dominato dal marketing? Che differenze ci sono (se ci sono?)?
La gran parte delle storie selezionate è stata ritrovata non attraverso la ricerca del termine “narrazione” (narrative) che sembra diventato patrimonio di discussioni teoriche, ma con le parole “esperienze personali”. Questo fatto mi fa riflettere sulla necessità di cogliere come i significati delle parole possono essere diversi nel contesto di internet e all’interno delle diverse comunità che si sono strutturate al suo interno (l’utopia del villaggio globale degli esordi di internet si è concretizzata piuttosto in una molteplicità tribale).
Alcuni interrogativi aperti
Le storie analizzate non sono state scritte per lo studio, ma prodotte autonomamente online. È vero che sono pubbliche, ma lo scopo per cui sono state scritte non è quello di essere analizzate.
Queste criticità etiche nella ricerca basata su narrazioni pre-esistenti erano stato individuato già da Trisha Greenhalgh e Tom Wengraf (2008): come garantire non solo la confidenzialità, ma anche il consenso e la trasparenza degli obiettivi ai narratori di internet?
Non è possibile fornire una vera e propria restituzione del lavoro di ricerca agli autori, se non nella forma di un paper scientifico a cui probabilmente non avranno mai accesso.
Infine uno dei limiti denunciati dagli autori stessi è quello di essersi concentrati sull’esperienza personale (dell’autore e del ricercatore), ma di avere tralasciato il contesto culturale e sociale in cui si colloca la narrazione: per esempio, l’utilizzo di determinate metafore o forme linguistiche può essere fortemente influenzato dal tipo di piattaforma o di community online.
Esiste nel close reading anche un’attenzione alla dimensione di giustizia sociale (Charon 2017) che nel contesto delle narrazioni online andrebbe forse tematizzata e inquadrata in maniera diversa, tenendo conto delle dinamiche di potere presenti online.
In conclusione, la ricerca si focalizza sulla capacità del close reading di creare un senso di affiliazione tra il narratore e l’autore, in una dimensione interpersonale che però potrà tradursi in azione sul campo, in particolare nella messa in pratica di una medicina centrata sul paziente: “With the practiced competence to attend to such narrative features, patients’ stories become a resource for patient-centered care.”
Bibliografia
Per una piena comprensione del post, si consiglia la lettura dell’articolo originale (open access)
•Bochner, A. P., & Riggs, N. A. (2014). Practicing narrative inquiry. In P. Leavy (Ed.), Oxford library of psychology. The Oxford handbook of qualitative research (pp. 195-222). New York, NY, US: Oxford University Press.
•Charon, R. (2006). Narrative medicine: Honoring the stories of illness. New York: Oxford University Press.
•Charon, R, et al. (2017) The principles and practice of narrative medicine New York, NY : Oxford University Press,
•Frank, A. W. (1995). The wounded storyteller: Body, illness and ethics. Chicago: University of Chicago Press.
•Greenhalgh T, Wengraf T. (2008) Collecting stories: is it research? Is it good research? Preliminary guidance based on a Delphi study. Med Educ. 2008 Mar;42(3):242-7.
•Polkinghorne, D. E. (1995). Narrative configuration in qualitative analysis. In J. A. Hatch & R. Wisniewski (Eds.), Life history and narrative (pp. 5–23). Washington, DC: Falmer.
L'autore
Francesca Memini è laureata in filosofia e si occupa di formazione in medicina narrativa e medical humanities con il progetto TRAME, oltre che di comunicazione e divulgazione medico-scientifica. Membro del consiglio direttivo SIMeN.