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Notizie e narrazioni

1998:Se una notte d'inverno un pioniere

1998: Se una notte d'inverno un pioniere

Questo racconto fa parte di una serie di 5 racconti raccolti nel progetto "Riflessioni su una porta aperta", realizzato a Perugia nel 2018, dalla psicologa esperta di metodologie autobiografiche, Marina Biasi, con l’obiettivo di raccontare i 40 anni della legge Basaglia dal punto di vista degli educatori che hanno lavorato e lavorano nelle strutture alternative al manicomio.

“Prendete la vita con leggerezza, 
che leggerezza non è superficialità, 
ma planare sulle cose dall'alto 
senza avere macigni sul cuore”

Italo Calvino – Lezioni americane

Quando iniziai, siccome non avevo mai lavorato nell'ambito della salute mentale, chiesi di iniziare con un tirocinio; fino a quel momento era un mondo a me sconosciuto, lo avevo vissuto per vie traverse, da punti di vista distanti. 
Quel giorno del 1997, quando entrai alla Residenza Autonomi, era freddo, era novembre, lo ricordo molto bene e il primo impatto fu dirompente: gli ospiti erano persone proprio simpatiche, e poi mi colpì molto l'incontro con gli operatori, ai miei occhi erano bravissimi e si sentiva la passione con cui svolgevano il proprio lavoro.

Si trattava della prima struttura residenziale di Perugia; aveva una storia importante perché gli ospiti arrivavano lì dopo aver fatto tutto il percorso manicomiale. Praticamente succedeva che dopo aver vissuto in contesti con livelli di protezione via via più leggeri, essi giungevano in una situazione di relativa autonomia, pur trovandosi sempre nella cittadella psichiatrica all'interno del parco Santa Margherita. Se arrivavi lì voleva dire che una serie di problematiche le avevi superate e, sebbene non potevi godere di una piena libertà, potevi vivere con una certa autonomia, in cui era possibile uscire e muoversi nella città.

Il primo incarico che mi fu affidato fu l'organizzazione del Natale e del Capodanno. La ricordo come un'esperienza singolare, per un operatore agli inizi come me, perché allora le risorse a disposizione per i progetti di animazione erano molto limitate e con il poco che avevi dovevi inventarti qualsiasi cosa. Nel mio caso quel “qualsiasi cosa” furono due feste dal significato simbolico molto forte, e il passaggio d'anno tra il 1997 e il 1998 non lo trascorsi a casa con amici o familiari, ma alla residenza autonomi; lo organizzai come avrei fatto nel mio privato, fu una festa molto divertente e quella notte di capodanno fu anche la mia prima notte di lavoro!
Il senso che ebbero quelle feste e la loro organizzazione lo capii davvero dopo un po' di tempo, e mi diede modo di comprendere quale poteva essere il mio ruolo di operatore: le attività proposte erano una sorta di centro attorno a cui io e gli ospiti giravamo, costruendo relazioni. 

In quella occasione il medico referente della struttura mi mosse alcune critiche. Non le vissi come tali, ma come spunti di riflessione che mi aiutarono a comprendere quel che potevo o non potevo fare in un contesto a me ancora sconosciuto; quello che mi ha insegnato il lavoro nella salute mentale è proprio la capacità di analizzare i miei comportamenti e le mie azioni, decidere di volta in volta la linea da intraprendere con gli ospiti e capire se riesco a creare con loro un rapporto di fiducia o di non fiducia.

I miei maestri furono i colleghi di lavoro, persone davvero fuori dal comune, che sin da subito mi misero a mio agio, sia spiegandomi in quale mondo ero arrivato, sia lasciandomi la libertà di agire e anche sbagliare. 
La caratteristica principale che aveva il nostro lavoro in quegli anni era la sperimentazione; come dicevo, lavoravo nella prima struttura residenziale in cui si era pensato che gli ex pazienti dell'ospedale psichiatrico potessero vivere con una modalità differente, una struttura che fosse “aperta”.

La Residenza mosse i suoi primi passi con un solo ospite e poi man mano ne arrivarono altri e assieme ad essi, altri operatori; donne e uomini che facevano delle cose sempre nuove e sempre più articolate, sia in termini di integrazione che di riabilitazione, anche se all'inizio fu molto difficile; lì in particolare sono state le persone che hanno fatto la differenza, sia quelle che ci lavoravano, sia gli ospiti che ci vivevano. Eravamo dei pionieri, ci sentivamo dei pionieri: avevamo l'idea di dover costruire qualcosa con qualcuno, e di restituire a qualcuno qualcosa, quindi seguivamo quello che chiamerei un doppio binario. Gli ospiti sperimentavano una libertà che non avevano mai avuto, noi sperimentavamo modi nuovi di stare assieme a loro, scoprendone anche le qualità: ricordo un signore che era un idraulico bravissimo, e in quegli anni non avemmo mai problemi con un rubinetto o con una tubatura! E non si trattava solo di scoprire abilità manuali, ma anche caratteristiche emotive, abilità intellettive, cose che si rivelavano piano piano, e man mano che scoprivamo chi erano gli ospiti, scoprivamo anche noi stessi come operatori e come persone. Non nascondo che alcuni momenti siano stati molto difficili, ma quello che accadeva si viveva anche con tanta ironia. Ripensando a quel periodo posso dire che per me è stato davvero una scuola nella quale non mi sono mai annoiato, anzi, ho lavorato tanto, non ricordo più quante notti abbia fatto alla Residenza! 

Gli anni '90 sono stati contraddistinti da grande apertura e desiderio di agire idee nuove, capire che alcune cose si possono fare, anche avendo poche risorse a disposizione; vi era una differente organizzazione del lavoro e un maggior ascolto degli ospiti. C'era un grande desiderio di fare insieme, di scoprire cosa sarebbe accaduto se ci avessimo provato, anche sbagliando e riprovando.


Il progetto Riflessioni su una porta aperta 
parte 1 - parte 2

Gli altri racconti:
1978: Fu follia o azzardo?
1988: Quel ponte che parte sotto al termosifone


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  • Cosa si intende per "Psichiatria Narrativa"

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