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Notizie e narrazioni

Riflessioni su una porta aperta- seconda parte

Riflessioni su una porta aperta- seconda parte

A cura di Marina Biasi
Scrivi, se ti riesce. Voglio restare in parole scritte […]
Per restare ci vogliono parole. 
Non è vero che verba volant, verba manent.
Di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che fummo,
restano le parole che abbiamo detto, 
le parole che tu ora scrivi […] Restano le parole.

Antonio Tabucchi, Tristano muore


In un precedente articolo avevo illustrato il progetto di narrazione che ho coordinato a Perugia nell’autunno del 2018, con l’obiettivo di raccontare i 40 anni della legge Basaglia dal punto di vista degli educatori che hanno lavorato e lavorano nelle strutture alternative al manicomio. Il progetto era articolato in due dimensioni narrative: le lettere all'ospite mai dimenticato e i racconti di cinque educatori - uno per decennio dal 1978 al 2018 - sulla scelta di lavorare in salute mentale. Sempre nel primo articolo hanno trovato spazio alcune delle ventisei lettere inviatemi dagli educatori, mentre in questo secondo scritto farò riferimento ad alcuni brani tratti dai cinque racconti. 
Lo sfondo teorico e metodologico di riferimento è quello della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, tra le cui finalità vi è anche quella della raccolta di storie e memorie.
In particolare, uno dei percorsi formativi della medesima è finalizzato alla formazione di esperti in raccolta di biografie, veri e propri “custodi di memoria e di vita”, che operano all'interno di progetti di raccolta di storie di comunità e di gruppi sociali o professionali. 
In questo percorso si apprende che la narrazione è un processo di apprendimento in cui esperienza e conoscenza sono strettamente connesse, e dove la storia di vita prende forma nel momento in cui la si narra a se stessi (è il caso dell'autobiografia) o ad altri (è il caso della biografia). Nel caso della biografia sarà poi compito del testimone (o raccoglitore di storie) trasformare un testo orale in racconto.

Secondo l'approccio della LUA, la raccolta di storie persegue quattro intenti:
1. intento conservativo: ovvero raccogliere, attraverso i racconti biografici, la memoria di luoghi e/o determinati fenomeni, affinché non ne vada persa la memoria. Le storie raccolte possono così diventare materiali consultabili e fruibili per la semplice conoscenza, per la ricerca, per la realizzazione di mostre o rappresentazioni teatrali.
2. intento trasformativo: in questa accezione le storie di vita possono diventare elementi di consapevolezza necessari ad accompagnare processi di trasformazione sociale e di ri-progettazione dei contesti.
3. intento partecipativo: raccogliere, custodire, condividere memorie di comunità attraverso le storie di vita deve essere un percorso partecipato. La produzione di memoria, in questo senso, è un bene pubblico che appartiene alla comunità entro cui nasce. La partecipazione si basa anche sul fatto che la raccolta di biografie, in questa prospettiva, non è competenza esclusiva di soggetti esperti, che devono assumere, in questo caso, la postura di facilitatori, ma può diventare una competenza diffusa (grazie a una formazione come biografi volontari).
4. intento trasformativo individuale: nei soggetti che raccontano la propria storia di vita si attiva un processo di apprendimento e significazione che esplicita come si è evoluta nel tempo la propria identità narrativa; bisogna sottolineare, inoltre, che anche il biografo verrà trasformato dall'incontro con la storia dell'altro per l'attivazione di risonanze, somiglianze o differenze che, in ogni caso, lo porteranno ad interrogarsi su di sé. 


Per raccogliere le storie, ho incontrato tre uomini e due donne, la cui età variava dai ventisette ai sessanta anni.
L'obiettivo dei colloqui era quello di raccontare gli esordi e le trasformazioni del lavoro e del ruolo dell'operatore sociale nei servizi psichiatrici di comunità nati all'indomani dell'introduzione della Legge Basaglia. Uso la parola colloquio (e non intervista) perché questa definizione rende in maniera più efficace la dimensione relazionale che si crea durante la narrazione e l'ascolto di una storia di vita, anche quando questa è circoscritta a un aspetto parziale quale quello lavorativo. Vista la specificità tematica da affrontare, ho predisposto di una traccia in cui ho individuato i seguenti stimoli per facilitare il racconto dei testimoni:

• Come e perché hai iniziato a lavorare come operatore?  
• Mi racconti il tuo primo giorno di lavoro come operatore della salute mentale? 
• Che tipo di formazione avevi/hai? 
• Chi ti ha insegnato? Chi sono stati / chi sono i tuoi maestri e mentori?
• Mi descrivi il lavoro che svolgevi / svolgi?
• Com'era il tuo rapporto con i colleghi di lavoro / con la cooperativa? con altri soggetti?
• Come definiresti il contesto in cui si svolgeva / si svolge il tuo lavoro? 
• Cosa ti piaceva / ti piace di più del tuo lavoro? Cosa di meno?
• Puoi raccontarmi uno e due episodi che ti sono rimasti impressi nella memoria?
• Che cosa ti hanno insegnato queste esperienze?
• Come ti sei visto / come ti vedi nel tuo lavoro?
• Che messaggio vorresti lasciare a chi ci ascolterà? 

In realtà, la traccia ha avuto lo scopo di prepararmi al colloquio, ma di fatto non l'ho mai seguita nella sua sequenza, ciò significa che dopo la necessaria introduzione al tema e agli obiettivi del colloquio e dopo la prima domanda, ho seguito un criterio di flessibilità e apertura rispetto a quello che si generava nel colloquio stesso. Mi sono data, cioè, la possibilità di modificare le domande, evitare di porne alcune tra quelle previste, aggiungerne altre in itinere. Come ho detto prima, il colloquio biografico è un dialogo, un processo co-costruito, non una sequenza rigida e predefinita con domande e risposte. 

La fase di rielaborazione dei racconti ha richiesto un lavoro complesso: nella metodologia LUA, infatti, si fa una trascrizione integrale del parlato (che viene audio-registrato) e poi si trasforma il tutto in racconto togliendo le domande, le ripetizioni, spostando eventuali parti del discorso per costruire una sequenza leggibile. 
In base alle risonanze che esse mi hanno suscitato, ho attribuito un titolo ai racconti e ho scelto un frammento letterario (in senso lato) da inserire in esergo. 
L'ultimo passaggio è stato quello della restituzione del racconto ai narratori: un momento molto particolare in cui, dopo aver ricevuto in dono una storia, la restituisco a mia volta trasformata. La metodologia della LUA attribuisce molta importanza a questo momento, perché il narratore si rilegge per dare la sua approvazione o meno al racconto. Ha cioè la possibilità di trovare conferme rispetto a quanto ha iniziato a emergere durante il colloquio, prende consapevolezza della sua storia e del modo con cui l'ha raccontata, scorge il filo rosso che la attraversa, i significati che ha attribuito agli eventi. Si ri-conosce. 

Nel merito di questo progetto, tutti gli operatori si sono riconosciuti nel racconto che ho restituito loro, si sono sorpresi ed emozionati. Già al termine del colloquio, ma ancora di più dopo la restituzione, ciascuno di loro, seppure con parole diverse, mi ha ringraziato dell'opportunità di potersi raccontare. Ciascuno ha colto la potenza trasformativa del racconto, che gli ha permesso di dare un nome alle cose e alle emozioni, di sottrarle all'indefinito per trovare loro un senso, di ricostruire un percorso. Si sono sentiti parte di un disegno più grande, cui hanno contribuito a definirne i contorni e le sfumature. Hanno percepito l'orgoglio di un'identità e di un'appartenenza. Si sono sentiti ascoltati e con una storia da raccontare. Finalmente. 

Leggi la prima parte dell'articolo 
Leggi il primo racconto 1978: Fu follia o azzardo? 


Riferimenti bibliografici

  • Benelli, C., Pedretti, A. M. (a cura di), 2017, La formazione autobiografica in gruppo, Edizioni Unicopli, Milano
  • Benelli, C. (a cura di), 2013, Diventare biografi di comunità – Prendersi cura delle storie di vita nella ricerca pedagogica, Edizioni Unicopli, Milano


Altre news

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