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Medicina Narrativa in Terapia Intensiva Neonatale

Medicina Narrativa in Terapia Intensiva neonatale

A cura di Giovanna Colangelo
La Medicina Narrativa è uno strumento che presuppone una competenza relazionale e linguistica o quantomeno di espressione: è relativamente semplice abbinare un paziente adulto ad uno strumento narrativo. Ma cosa succede quando il paziente in questione è un neonato che, per qualunque motivo, viene ricoverato in una Terapia Intensiva?

L’atto narrativo, la struttura portante della Medicina Narrativa, si avvale di più attori: da un lato il soggetto che vive (o subisce) e racconta la sua malattia, dall’altra l’interlocutore che lo ascolta (il medico o l’operatore sanitario).

Nelle Terapie Intensive Neonatali il soggetto della cura è il neonato pretermine o con patologia acuta. Accanto a lui troviamo il genitore: un “paziente” a margine, colui che non ha la malattia “fisica” ma di riflesso la assorbe, colui che “esprime” ciò che il neonato soffre, attraverso un legame ancestrale e profondo, colui il cui quotidiano è messo a soqquadro dalla comunicazione della diagnosi di una malattia congenita o acuta, evento catastrofico caratterizzato dall’emergere di profonde angosce. Di fronte a questo evento critico che mette a dura prova i genitori e il figlio, vi è l’imprescindibile necessità di un approccio multidisciplinare che, accanto alle risorse della chirurgia e delle tecniche rianimatorie e diagnostiche, dia ampio spazi all’aspetto umano e relazionale proprio del “prendersi cura”. In tale ambito il soggetto di cui prendersi cura è l’intero nucleo familiare (genitore/i-neonato), che vive inevitabilmente una situazione di crisi acuta e del tutto imprevista

La Terapia Intensiva Neonatale è un “non-luogo” dove la nascita e il riconoscimento della propria genitorialità sono un processo lento e travagliato che passa attraverso tre passaggi obbligatori segnati dai diversi livelli di contatto con il proprio bambino. In un luogo, dove non è mai concesso festeggiare, timori giornalieri si alternano a timide conquiste: un contatto, una poppata, un primo respiro spontaneo.
 
Nelle Terapie Intensive Neonatali la comunicazione della diagnosi di una malattia congenita o acuta rappresenta per i genitori un evento catastrofico caratterizzato dall’emergere di profonde angosce: si trovano improvvisamente davanti ad una situazione di crisi acuta e del tutto imprevista. Proprio per questo motivo nasce l’esigenza di un approccio multidisciplinare che, oltre alle tecniche chirurgiche, rianimatorie e diagnostiche, dia ampio spazio all’aspetto umano e relazionale, al to care.

Il pediatra inglese Donald Winnicott definì la preoccupazione materna primaria come lo stato d’animo della madre di identificarsi con il figlio e di rispondere ai suoi bisogni: questo ruolo viene duramente messo in crisi dalla brusca e drammatica separazione che interviene quando il neonato necessita di cure intensive. Il genitore, esattamente come il bambino, a causa di questa violenta separazione, diventa “genitore a rischio” a causa delle sequenze emotive che questo distacco innesca. 

Ecco allora che il professionista sanitario viene chiamato ad assistere il neonato, e ad accogliere il genitore o i genitori e le loro paure, ansie, il loro disorientamento, con l’accortezza di non lasciarli soli sotto il peso delle loro emozioni. 
Inizia così un percorso comunicativo-relazionale, durante il quale può essere utile, per il professionista, percorrere alcuni passi fondamentali della comunicazione: 

• preparare il contesto e disporsi all’ascolto 
• esplorare quello che i genitori sanno e l’idea che si sono fatti del problema del loro bambino 
• identificare cosa è importante sapere per i genitori 
• fornire le informazioni necessarie, nel momento giusto e in un spazio temporale adeguato 
• facilitare la coppia ad esprimere le proprie emozioni, paure e speranze rispondendo in modo empatico 
• concordare il piano di cura e valutare ciò che i genitori hanno effettivamente compreso. 

Per fare questo è necessario imparare ad ascoltare, offrendo uno spazio e un tempo per il colloquio: in questo modo i genitori potranno percepire un supporto reale e saranno in grado di fare le domande più utili ed esprimere dubbi e preoccupazioni in modo costruttivo. Con una comunicazione così centrata genitori ed operatori possono scambiarsi informazioni e, per quanto possibile, negoziare il percorso di cura. 

La Terapia Intensiva Neonatale è un luogo dove spesso è protagonista l’incertezza diagnostica o prognostica: gli operatori devono spogliarsi del loro essere tecnici e coltivare la propria sensibilità ed affettività per poter fornire ai genitori quella figura utile a tollerare impotenza e incertezza. Questo può avvenire solo tramite una comunicazione bilaterale efficace e capacità narrative.


Medicina Narrativa nelle TIN: stato dell’arte 

Nelle Terapie Intensive Neonatali, si sta lavorando molto per migliorare l’assistenza e il supporto: si mettono in atto molteplici strumenti per migliorare la comunicazione, molte strutture cercano di integrare l’assistenza al nucleo genitore-neonato con strumenti narrativi per andare oltre la semplice comunicazione e permettere sia al curante che al genitore “a rischio” di trovare nuove strategie di incontro e comprensione, di se stessi e dell’evento. 

I metodi narrativi utilizzati sono tendenzialmente strumenti pre-strutturati, guidati, con una traccia, che guidano il genitore, nel suo raccontare il disagio, lungo un binario definito da altri: il rischio è che se altri definiscono quali sono i punti chiave del racconto di un dramma, probabilmente di quel dramma potrà sfuggire un aspetto che per chi lo vive, in realtà, è fondamentale.

Un altro rischio potrebbe essere che, con una traccia di racconto predefinita, come può essere una intervista semi-strutturata, si accomunino e si livellino le storie di tutti, depauperandole della loro unicità, rendendo prevedibili alcune risposte, proprio in un’era della medicina in cui i concetti di “olismo” e “irripetibilità” del paziente la stanno facendo da padrone. 

Sarebbe auspicabile che la cartella parallela, in quanto strumento creato e pensato ad hoc come fulcro della Narrative Based Medicine, diventasse prassi comune nella quotidianità della pratica clinica, per migliorare sempre di più la professione degli operatori sanitari: le professioni sanitarie, proprio per la loro natura del prendersi cura, possono trovare, a mio avviso, una completezza di intenti e di intellettualità professionale con un uso consapevole, metodologico e condiviso della NBM. 

Per quanto riguarda i genitori dei neonati a rischio, sarebbe interessante valutare, in futuro, la loro percezione dell’esperienza in Terapia Intensiva Neonatale e del dramma di vita che sono costretti a subire, attraverso strumenti che permettano loro una narrazione incondizionata e non vincolata, capace di indagare gli aspetti più profondi e veri di una storia. Permettere ai genitori in TIN di esprimersi in modo meno rigido potrebbe riportare maggiore luce sul rapporto curante-paziente e rafforzarlo ulteriormente. 



L'articolo è un estratto della tesi di Laurea in Scienze Infermieristiche  "Terapia Intensiva Neonatale: la narrativa come strumento di cura sul territorio italiano. Una revisione della letteratura", conseguita da Giovanna Colangelo presso l'Università del Piemonte Orientale.
Per maggiori informazioni contattare gcolangelo73@gmail.com  


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