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Medicina Narrativa: l'essere umano al centro

Medicina Narrativa: l'essere umano al centro

Oggi vi proponiamo la lettura dell'interessante articolo della scrittrice Elisabetta Bucciarelli sulla Medicina Narrativa, pubblicato sul numero 3 di Sassi e piume, Rivista di informazione senologica a cura dell'Associazione Senologica Internazionale.
(I grassetti sono nostri)

Sono un’artigiana della parola, scrivo per mestiere, e ogni giorno mi trovo a confronto con ipotesi di personaggi e di storie. La fantasia si misura continuamente con la realtà, con la vita e con le persone. M’interessa tutto di chi ho di fronte. Dove abita, che luoghi frequenta, che libri legge, gli sguardi, in che modo muove le mani. Annoto, prendo appunti, disegno ritratti con le parole. Poi cerco di formulare domande, discrete all’inizio, dirette man mano che la confidenza aumenta. Mi avvicino, mi metto in gioco, entro in relazione.
Non tutte le persone diverranno personaggi di una storia, ma di ogni incontro conservo i dettagli, le sfumature, i tratti fondamentali.

Quando lavoro con i gruppi di scrittura, prima di affrontare la tecnica e la forma della narrazione, cerco di proporre un allenamento sensoriale. Imparare a guardare per vedere, mettersi in ascolto per sentire. Sembrano operazioni facili, istintive, ma non sempre è così. Molte barriere, dovute al vissuto personale di ciascuno di noi, al contesto e soprattutto al motivo per cui dobbiamo o vogliamo instaurare una relazione, possono condizionare i dati che ci interessa raccogliere.
Altre volte il nostro desiderio di arrivare a un obiettivo prefissato secondo un percorso prestabilito, ci preclude l’evidenza degli elementi più interessanti, capaci di condurci su altre strade, più fertili. Oppure può succedere che le idee a priori, l’interpretazione o il rispecchiamento ci impediscano di leggere oggettivamente i fatti, offuscando la nostra capacità di vedere mciò che è davvero importante.

Mi capita spesso di condurre gruppi di scrittura in cui sono presenti persone che stanno affrontando periodi di malattia, patologie croniche o convalescenze, e di raccogliere le loro storie di pazienti. Ricostruire per iscritto l’iter della malattia non è un’operazione semplice, il più delle volte le parole a disposizione non bastano per dar voce ai vissuti e alle emozioni collegate.
In alcuni casi è difficile districarsi tra gli avvenimenti, stabilire una cronologia, ricordare tutti i protagonisti della propria vicenda. Il processo di scrittura aiuta a chiarire e a prendere le distanze ma al tempo stesso circoscrive e rende evidente ogni singolo istante di attesa, incertezza, sofferenza e dolore. Rielaborare non è un’operazione facile. La scrittura però, ha una caratteristica unica, concede un tempo differente, la possibilità di ritornare infinite volte sulle parole, la presa di distanza, l’allontanamento e in qualche modo, una forma di esorcismo che ci permette di delegare al foglio (o allo schermo del computer) i contenuti critici e faticosi. Chi scrive per professione conosce l’effetto liberatorio e il distacco che avviene tra sé e il proprio scritto, una volta messo il punto all’ultima frase di un libro.

Ma a chi può essere utile, oltre a noi stessi, leggere e partecipare delle nostre storie? A tutti. Ai nostri amici, ai familiari, ai fidanzati, ai mariti e alle mogli e, in una delle varie applicazioni, anche ai medici, ai paramedici, agli operatori sanitari e a tutti coloro che devono occuparsi e preoccuparsi di un soggetto umano.
Di una donna, di un uomo, di una ragazza, di un ragazzo, di una bambina o di un bambino, malati.

Le parole, in questa applicazione specifica, possono essere utilizzate in tre modi: raccolte, attraverso la scrittura, per conoscere e approfondire la storia del paziente; rese efficaci e attivate, attraverso la letteratura, per aiutare il paziente a entrare nella propria storia attraverso quella di un’altra persona o personaggio; scelte e sostituite ad altre abusate, con attenzione ed empatia, per comunicare, consolare, suggerire e curare, durante la relazione medico-paziente, medico-famiglia del paziente, personale paramedico-paziente e familiari tra loro e con il personale medico.

L’attenzione al linguaggio e alle storie che curano non è una scoperta nuova. Esistono da sempre medici capaci di ascoltare e districarsi nel magma emotivo dei loro pazienti. Al tempo stesso chi ama leggere conosce molto bene il potere terapeutico delle storie, l’influenza che hanno sull’umore, il potere di spostarci nello spazio e nel tempo permettendoci di vivere situazioni e stati d’animo altrui. Di novità, nella terapia narrativa, c’è il tentativo di dare una forma e un nome a queste buone prassi per fornire a chi opera nel settore medico (ma non solo) le indicazioni utili e gli strumenti atti a sviluppare e favorire un atteggiamento a misura di ogni essere umano, unico e irripetibile.

Se da un lato la medicina basata sull’evidenza è fondamentale per fornire diagnosi efficaci e rispondere alla malattia con una terapia adeguata, dall’altro la medicina basata sulla narrazione si allontana dai numeri per arrivare al punto di vista dell’altro, capace di fornire elementi preziosi per capire la malattia e le possibili strade di cura percorribili. Medicina narrativa o narrazione terapeutica poco importa come la si chiami, purché non si dimentichi che non potrà mai ricondursi a un solo modello unico e ripetibile, quantificabile e misurabile, proprio perché la propria intrinseca natura è in relazione alla sensibilità, l’empatia, le capacità umane, la resilienza di ciascun individuo.
È l’essere umano al centro, siamo noi. 

Sugli strumenti invece, si può ragionare. Possiamo imparare a leggere e a scrivere in modo differente, mettendoci nella prospettiva dell’altro e intervenendo sulle storie che ascoltiamo come, per esempio, ha fatto Akira Kurosawa nel suo famoso film Rashomon.
Guardare ogni narrazione da più punti di vista, sommare le differenti posizioni o verità relative, per giungere a una visione completa e complessa di ciò che dobbiamo guardare, con l’obiettivo di arrivare a vedere ciò che davvero è importante. Esercizio continuo, capacità di confrontarci con gli altri e presa a prestito di un linguaggio complementare a quello medico, perché ogni paziente ha le sue parole per chiamare la malattia e le sue parole di spavento di fronte alla stessa.
Perché l’empatia si può imparare e così vale per le tecniche volte a stabilire una relazione più efficace.
Non si tratta quindi di indagare, nemmeno di interrogare, ma di mettersi in ascolto attivo, in osservazione attenta nel tentativo di trattenere il lessico, percepire emozioni, sensazioni e sentimenti legati al racconto.

Ricordandosi sempre, come sostiene James O. Prochaska Professor of Psychology and director of the Cancer Prevention Research Center at the University of Rhode Island, che: «Ciò che è stato è stato (…) ma i terapeuti narrativi sono antirealisti. Credono che non ci sia una realtà oggettiva che possa esistere dietro le nostre storie. (…) La storia personale è la realtà di ciascun cliente, unica, personale, soggettiva, e fortunatamente, aperta al cambiamento».
In questa sede, che ringrazio per lo spazio che mi ha concesso, vorrei consigliare quattro libri...

Continua a leggere su Sassi e piume (pag 21)

Elisabetta Bucciarelli è nata e vive a Milano, dove lavora con la scrittura.
Ha scritto per il teatro, la televisione e il cinema. La sua sceneggiatura Amati Matti ha partecipato alla 53° Biennale del Cinema di Venezia, ottenendo una menzione speciale della giuria. Ha pubblicato i saggi Io sono quello che scrivo, la scrittura come atto terapeutico e Le professioni della scrittura e Scrivo Dunque Sono. Trovare le parole giuste per vivere e raccontarsi. 
Ha firmato numerosi racconti, distribuiti tra quotidiani (italiani e stranieri) e antologie, tra i quali La lista, L'abbraccio e L'ordinanza contenuti in tre volumi di Guanda editore. È autrice di testi d'arte, divulgatrice poetica e letteraria, conduttrice di laboratori di Scrittura Espressiva. 

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